Nel nostro Paese abbiamo dati sull’obesità infantile da primato europeo.
Circa il 40% di tutti i bambini sono, infatti, sovrappeso o obesi e poiché le cause di questa spiacevole condizione, che può pregiudicare anche il loro futuro, sono ricondotte dagli studiosi alla riduzione dell’attività fisica e a scelte alimentari poco congrue rispetto alle necessità di organismi in crescita, è indubbia la nostra curiosità di sapere come mangiano.
In virtù del ruolo, da me svolto, di referente scientifico di Slow Food, ho portato avanti, di recente, un’iniziativa con la condotta Giulianova-Val Vibrata di Slow Food, per valutare l’aderenza al modello mediterraneo di 318 bambini delle scuole elementari e di 202 ragazzi delle scuole medie del nostro territorio.
Per raggiungere questo obiettivo, ho utilizzato un questionario validato, contenente poche e semplici domande sul consumo degli alimenti che caratterizzano qualitativamente il nostro modello alimentare (pesce, legumi, olio d’oliva, semi oleosi, frutta, verdura e cereali integrali).
L’indagine, che ha il vantaggio di riferirsi a dati esclusivamente abruzzesi, anzi teramani, ha evidenziato un grado sufficiente di aderenza al modello mediterraneo solo nel 18% dei bambini della scuola elementare, mentre i ragazzi della scuola media hanno evidenziato un’aderenza pari al 27%.
I dati non solo sono risultati poco rassicuranti, anche se sembrano migliorare un po’ con la crescita, ma confermano il progressivo allontanamento dei giovanissimi dal modello mediterraneo.
Per questo, in collaborazione con l’Azienda “Liscianigiochi” di S. Atto (TE), stiamo conducendo analoghe indagini in soggetti adulti aderenti al progetto “Lisciani lifestyle” per studiare il grado di aderenza al modello mediterraneo e lo stile di vita di varie tipologie di lavoratori dell’azienda.
Dai dati già in nostro possesso possiamo affermare che solo 1 bambino su 2 consuma una porzione di frutta più una porzione di verdura al giorno, che solo 1 bambino su 3 consuma adeguate quantità di pesce e di legumi, che solo 1 bambino su 5 consuma abitualmente semi oleosi (noci, mandorle etc.).
Tuttavia, se andiamo a confrontare questi dati con quelli preliminari che riguardano gli adulti, abbiamo la conferma che le criticità dell’alimentazione dei bambini sono presenti anche tra quelli che dovrebbero svolgere una funzione educativa nei loro confronti.
Sembra che le famiglie tendano a non rappresentare più quel contesto armonioso in grado di guidare i ragazzi verso scelte alimentari variate e consapevoli e verso l’educazione al gusto.
Il gusto, infatti, viene educato dalla curiosità, ma anche dall’attesa, dall’aspettativa di un giorno, di un momento, di una preparazione speciale, di un contesto particolare.
La disponibilità quotidiana di ogni cosa e il facile accesso ad alimenti pronti, spesso autogestiti da bambini e ragazzi, porta ad un appiattimento del gusto e verso una maggiore influenza dell’immagine dell’alimento e delle risposte emotive ad esso.
All’alimento cucinato, di cui i ragazzi non sono più abituati a condividere i processi e i tempi di produzione, si preferisce l’alimento assemblato, di cui riescono a deciderne immediatamente la composizione, attraverso la scelta dei vari alimenti che possono essere inseriti in un panino o in una pizza, come in un puzzle.
Poco può l’educazione alimentare, intesa come ragionamento scientifico o dimostrazione pratica per convincere il bambino a mangiare il giusto; i ragazzi hanno maggior fiducia di ciò che vedono e vivono (e quindi di ciò che artatamente gli vien dato di vedere e vivere) che non di ciò che ascoltano.
Inoltre, da una parte, è la società stessa che spinge potentemente verso soluzioni alimentari semplificate e commerciali, contraddicendo i modelli educativi, dall’altra, anche i genitori, spesso oppressi dalle difficoltà della vita quotidiana, non riescono a dare priorità ad un’alimentazione più sana per sé stessi, per cui non riescono ad essere di esempio per i loro figli.
Senza un “imprinting” alimentare che porti all’acquisizione di un’alimentazione sana e variata e, quindi, senza il supporto costante e sapiente della famiglia, il bambino non può farcela da solo e si trova esposto alle pressioni diseducative dell’ambiente che lo conducono inesorabilmente verso lo squilibrio e il disgusto che ne condizionano il modello alimentare verso il “troppo” o il “troppo poco”.
Quindi, per poter migliorare nei bambini i consumi di frutta, verdura, legumi, pesce e semi oleosi, l’imprinting familiare deve essere tempestivo e si deve fondare sulla capacità di offrire esempi e modelli rassicuranti da seguire, che presentino una coerenza nel tempo, ma la condizione indispensabile perché ciò possa realizzarsi è che sia la famiglia stessa a seguire un modello di alimentazione salutare e naturale.