RIPARTIRE CON BRUNER DALLA NARRAZIONE

Per tutta l’estate la scuola è stata al centro del dibattito culturale, sociale e politico. Per tutta l’estate sulla riapertura della scuola sono state riversate le aspettative più disparate e persino contraddittorie:  desideri di ritorno alla normalità e di uscita (quasi miracolosa) dalla crisi e dai tormenti del Covid 19, attese di serenità per le famiglie con il recupero del tempo da dedicare alle loro occupazioni, ma anche preoccupazioni circa la sicurezza sanitaria degli alunni e grandi timori per l’eventuale non riapertura. Per tutta l’estate il personale scolastico e in prima linea i dirigenti scolastici hanno svolto un lavoro intenso e senza sosta (encomiabile!) per riorganizzare gli spazi e le classi in modo da assicurare le misure di sicurezza.

Il 14 settembre 2020 (e in alcuni casi il 24) è stato il fatidico giorno che, al suono della campanella, ha generato fibrillazione sociale e politica. Il ritorno a scuola ha fatto esplodere lo spauracchio del “cosa potrà succedere”, ma anche la gioia dell’incontro e del ritrovarsi tra alunni e docenti insieme. A circa un mese dalla ripartenza risorge purtroppo il timore della seconda ondata. La macchina comunque cammina tra tante regole cui gli alunni sembrano sottostare con disciplina, almeno all’interno delle mura scolastiche.

In questi giorni, dopo le prime forme di accoglienza,  i docenti stanno avviando l’attività didattica ordinaria. Sotto il peso del PAI (Piano di apprendimento individualizzato) e del  PIA (Piano di Integrazione degli Apprendimenti) si rischia di dare spazio preponderante e persino esclusivo al recupero delle abilità strumentali e funzionali (saper leggere, scrivere e far di conto) e dei contenuti di studio (soprattutto per la secondaria) non affrontati nell’anno scolastico pregresso e, quindi, da recuperare.  Questa è un’attività importante e legittima, ma deve essere accompagnata da una azione altrettanto incisiva e significativa di ripensamento sul periodo della pandemia che porti ad attribuire significato a questo grande accadimento umano. Ma è proprio necessaria questa attività? Per quali motivi?

I grandi accadimenti umani

Proprio in questi giorni, di fronte al fluire della ripartenza, mi è tornato in mente un contributo di Carlo Nanni[1]il quale faceva  una distinzione tra educazione occasionale ed educazione intenzionale ricorrendo a una serie di cerchi concentrici (fig. 1) in cui collocava i fattori che incidono sulla formazione della persona.

         Fig. 1

Al primo cerchio, quello più stretto, è posto l’educando, la persona in formazione che porta con sé le risorse fornitegli dalla sua condizione genetica (la natura) che indubbiamente incidono sulla sua crescita.  Queste risorse, purtroppo, sono diseguali in quanto qualcuno ne ha di più e qualcuno di meno. Sembra che la natura sia essa stessa ingiusta e che l’educazione debba correre ai ripari. Sui cerchi che man mano si allontanano dal centro sono posti gli altri fattori (la cultura) che  influenzano la personalità in sviluppo. Ciascuno di noi è il risultato dell’integrazione tra natura e cultura.

Al secondo cerchio, quello più vicino all’educando, è posta l’educazione intenzionale, quella che viene svolta dalle istituzioni a ciò deputate (la famiglia e la scuola) attraverso interventi specifici, predeterminati  e intenzionali. La scuola, infatti,  è chiamata da un insieme di norme istituzionali a svolgere un’azione che, proprio perché intenzionale, non può sfuggire alla programmazione. L’educazione intenzionale è chiamata esplicitamente e istituzionalmente a incidere sulla formazione della persona.

Al terzo cerchio, procedendo dall’interno all’esterno, sono poste le cosiddette scuole parallele ossia quegli enti o quelle “agenzie” che, pur non avendo uno specifico scopo formativo, influenzano comunque la crescita. E’ indubbio il valore positivo o anche negativo che cinema, teatro, tv , giornali, mezzi di comunicazione di massa assumono per la formazione delle persone. Queste influenze appartengono all’educazione occasionale perché noi adulti non possiamo disciplinare con rigore l’esposizione dei giovani alla loro fruizione. Non possiamo coprire i manifesti pubblicitari che i nostri figli incontrano per strada e che riteniamo diseducativi come non possiamo controllare ciò che essi guardano, quando più grandicelli vengono lasciti soli di fronte alla tv!

Al quarto cerchio appartengono le influenze sociali e culturali generali che provengono dalla parentela, dal vicinato, dal gruppo dei pari. Sappiamo che i bambini/adolescenti/giovani si lasciano guidare per emulazione dai comportamenti degli altri e soprattutto dei pari. Il gregge ha un grande fascino in modo particolare nel periodo adolescenziale e la cultura del muretto e della piazza a volte è più forte di quella della famiglia e della scuola. Anche l’esposizione a questi fattori non può essere disciplinata in modo rigido dai responsabili dell’educazione. Molti di essi sfuggono al controllo: non possiamo scegliere le persone che i nostri figli incontrano nel loro percorso scolastico e di vita.

Al quinto e ultimo cerchio sono posti i grandi accadimenti umani che nella maggior parte dei casi avvengono senza che l’uomo possa programmarli e anzi si presentano improvvisi ed inaspettati provocando gioia o dolore sia nei grandi che nei piccoli. A questa categoria appartengono la nascita o la morte di persone care, di amici e conoscenti, le malattie, le disgrazie e le calamità naturali quali terremoti, alluvioni e certamente pandemie.

Nei tre cerchi più esterni si esplicita tutta l’educazione occasionale ossia le influenze che i diversi fattori, non sempre prevedibili e programmabili, esercitano sulla crescita delle persone. Fattori che possono disturbare il mondo psichico e sociale dei bambini/adolescenti/giovani. La pandemia che abbiamo vissuto e stiamo vivendo rappresenta un grande accadimento umano che non può restare fuori dall’educazione intenzionale il cui compito è quello di interagire con tutti i fattori dell’educazione occasionale per correggere le eventuali distonie formative che possono insorgere.

Noi non conosciamo perfettamente quali sentimenti, quali paure, quali interpretazioni hanno vissuto e costruito i nostri “educandi”, di fronte alla pandemia. Il loro mondo interiore, se non esplorato, può restare confuso, parziale o comunque celato, ma pronto a riemergere nelle occasioni simili che da adulti si possono nuovamente incontrare.  Sicuramente hanno costruito una loro interpretazione che può contenere, però concezioni ingenue, misconcezioni e pregiudizi, come direbbe Howard Gardner. La scuola, perciò ha il dovere di aiutare i giovani ad attribuire significato a questo grande accadimento umano.

La narrazione come strumento di attribuzione di senso 

In che modo gli insegnanti possono svolgere questa azione? Attraverso, come afferma Jerome Bruner, la ricerca di significato,  un percorso che si propone di scoprire e di descrivere i significati che gli esseri umani creano in base al loro contatto con il mondo. Questa azione individuale di attribuzione di significato è stata compiuta dai nostri alunni secondo  una “intuitività implicita”, derivata dal patrimonio genetico (natura) e secondo il principio di prospettiva, utilizzato dal contesto familiare e amicale (cultura). In un libro, meno conosciuto, ma tutto dedicato alla narrazione Bruner precisa che: “Ciò che sappiamo intuitivamente basta a farci affrontare le routines familiari, ma ci soccorre assai meno quando cerchiamo di comprendere o spiegare ciò che stiamo facendo e di sottoporlo a deliberato controllo. E’ come la facoltà, celebrata da J. Piaget, che fin da piccoli ci fa cogliere ingenuamente le categorie dello spazio e del numero. Per farci superare questa intuitività implicita sembra necessaria una specie di spinta esterna, un qualcosa che ci faccia salire di un gradino”[2].

Questa spinta esterna consiste, come suggerisce il titolo del libro, nel fabbricare storie. Da ciò discende che la scuola in questo periodo di post-pandemia deve ricorrere alla narrazione dei singoli alunni per far emergere le diverse interpretazioni attribuite all’evento e, di conseguenza, modificare quelle interpretazioni ingenue o comunque parziali o incomplete attraverso le diverse prospettive che emergeranno. La funzione del racconto, infatti, secondo Bruner “è quella di trovare uno stato intenzionale che mitighi o almeno renda comprensibile una deviazione rispetto a un modello di cultura canonica[3]”. Le interpretazioni degli alunni possono rappresentare deviazioni e il racconto del ricordo dell’evento vissuto, attraverso il confronto e la condivisione all’interno del gruppo classe, permette una strutturazione sociale dell’esperienza, finalizzata a fornire l’attribuzione di senso non soggettiva e parziale, ma comunitaria e più completa.

Il racconto collettivo, inoltre, ha un effetto di cura nei bambini/adolescenti giovani in quanto sprigiona la contaminazione e la condivisione dei timori, delle ansie, delle preoccupazioni che ognuno ha immesso e nutrito nel suo mondo interiore anche in modo ingigantito. Sapere che i propri sentimenti sono vissuti anche dagli altri, in primo luogo crea un senso di appartenenza a un comune destino che dona anche serenità, in secondo luogo aiuta ad affrontare una sfida che genitori e docenti non possono evitare: aiutare tutti a sviluppare la propria ‘resilienza’, ovvero la capacità di far fronte a eventi traumatici, di ricostruirsi ricercando le opportunità positive che la vita offre. La resilienza è fattore fondamentale per affrontare l’eventuale seconda ondata e comunque questo periodo ancora di incertezza.

Ma basta raccogliere questi racconti e farne patrimonio del gruppo classe? Certamente no. Questi racconti contengono, come detto, saperi ingenui dal punto di vista scientifico, misconcezioni dal punto di vista sociale, economico e culturale, pregiudizi dal punto di vista etnico ed etico.   La scuola ha il dovere di fare un secondo passo in profondità: guidare gli alunni all’interpretazione scientifica di quanto accaduto.  Il confronto delle loro attribuzioni di significato con quelle del gruppo classe, pur contenendo  la soggettività e la parzialità, non assicura scientificità  In che modo è possibile  compiere questo secondo passo?

Bruner precisa che“Fare significato implica situare gli incontricon il mondo nel loro contesto culturale appropriato, al fine di sapere ‘di cosa si tratta in definitiva’. Benché i significati siano ‘nella mente’, hanno origine e rilevanza nella cultura in cui sono stati creati…. Il punto non è se esistono o meno dei ‘significati privati’, quello che conta è che i significati costituiscano la base dello scambio culturale. In quest’ottica il conoscere e il comunicare sono per loro stessa natura profondamente interdipendenti, direi anzi praticamente inseparabili. Infatti, per quanto possa sembrare che l’individuo operi per proprio conto nella sua ricerca di significati , non lo può fare, e nessuno lo può fare, senza l’ausilio dei sistemi simbolici della propria cultura”[4].

Fino a questo momento gli alunni sono stati soggetti narranti e la scuola ha sottoposto i loro racconti all’analisi culturale, ma si può compiere un terzo passo:  invertire la rotta e, soprattutto per i più piccoli, farli diventare fruitori di storie e di narrazioni prodotte dal mondo adulto. Conosciamo l’importanza che rivestono le storie (fiabe, favole, racconti, leggende, miti, romanzi) per i piccoli e per i grandi.  Secondo Bruner noi comprendiamo il mondo e noi stessi attraverso due pensieri: quello paradigmatico e quello narrativo. Con il pensiero paradigmatico attribuiamo significato agli eventi attraverso procedimenti logici e scientifici, mentre attraverso il pensiero narrativo l’interpretazione sprigiona il nostro mondo fantastico, mitico, eroico. Secondo lo studioso il pensiero narrativo  è nato prima ed è più potente di quello paradigmatico e la narrativa letteraria in modo particolare “congiuntivizza la realtà….dando spazio non solo a quello che c’è, ma anche a quello che avrebbe potuto esserci. Un mondo congiuntivizzato, seppure non confortevole, è un mondo stimolante, tiene il familiare a stretto contatto con il possibile”[5].

Lo studioso ritiene che la narrativa, anche quella di fantasia, doni forma al mondo reale: “La grande narrativa letteraria restituisce un aspetto inconsueto al familiare e all’ordinario … Essa offre mondi alternativi che gettano nuova luce sul mondo reale”[6]Dobbiamo cercare, quindi, di aiutare i bambini/adolescenti/giovani a costruire mondi alternativi a quello reale, mondi in cui credere e riporre aspettative personali e sociali. Dobbiamo evitare che si diffonda quella tendenza, che di norma si manifesta in tempi di crisi, definita da Zygmunt Bauman “privatizzazione della speranza” ossia la tendenza ad oscurare le aspettative per il futuro e a riporle nel nostro mondo privato.

Si può concludere affermando che tre sono i percorsi che possiamo ricavare da Bruner:
– la narrazione della pandemia da parte degli alunni;
– l’approfondimento scientifico delle interpretazioni dei bambini/adolescenti/giovani da parte dei docenti;
– il ricorso alla lettura di “storie” di diverso genere che possano ri-modellare la realtà.

Le attività sono molteplici e si diversificano nella quantità e complessità a seconda dell’ordine e grado di scuole in cui si opera.
Si può fare ricorso nella scuola dell’infanzia e primaria a una serie di attività creative, a giochi, a disegni attraverso cui coloriamo la pandemia ricorrendo al mondo fantastico. Anche gli albi illustrati, e ce ne sono tanti, rappresentano strumenti narrativi molto interessanti, perché permettono l’interazione tra il linguaggio verbale e quello iconico, propongono un dialogo aperto tra parole e immagini: “La lettura di un albo, che promuove l’ascolto da parte del bambino, suscita in lui riflessioni e rimandi, sollecitando una ricerca di senso che attraversa l’immaginazione e trova legami nella sua esperienza di vita… Una lettura lenta, una rilettura, una lettura dialogata, una lettura silenziosa, sono i tanti modi in cui un albo illustrato può essere adoperato per creare una relazione più profonda con il bambino, comunicare con lui, ascoltare le sue emozioni, le sue paure, comprendere i suoi desideri[7]”.

Per i più grandi (scuola secondaria di primo e secondo grado) si può attingere alle storie  dei cataclismi, alla reazione di scrittori, filosofi, sociologi, economisti e  intellettuali che  è stata  sempre un luogo dove sostare e meditare. Esiste una lista di libri pubblicati di recente che trattano, con sfumature diverse, di questa pandemia e che cercano di raccontare l’evento che ha segnato il 2020, in saggi scientifici, riflessioni filosofiche e sociologiche, diari letterari, guide, manuali e romanzi. Il materiale a disposizione è abbondante. Auguro a tutti gli insegnanti buon lavoro.

 

[1]C. Nanni, Socializzazione, inculturazione e educazionein “Orientamenti pedagogici” 1978,4.

[2]J. Bruner, La fabbrica delle storie,Laterza, Bari, 2002, p.4

[3]J. Bruner, La ricerca di significato, Bollati Boringhieri, Torino,  1992, p. 59

[4]J. Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 17

[5] Idem,p. 56

[6]J. Bruner, La fabbrica delle storie, cit. ,  pp. 10-11

[7]Unicef, Proposte educative al tempo della pandemia, in www.Unicef.it

 

 

 

 

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