Il gioco è per il bambino una naturale spontanea attività che gli consente di comprendere gli altri ed il mondo che lo circonda, di esprimersi liberamente e di mettere alla prova le proprie capacità, di conoscere le proprie emozioni e di interagire con gli altri. Durante il gioco i bambini e le bambine accettano la fatica degli impegni ricavandone piacere, con spontaneità accettano le regole comuni e ne creano, condividendole, di nuove.
Non molto tempo fa, i bambini avevano poche opportunità di ricevere in dono dei giocattoli. Le fiere paesane, le feste del paese, il giorno precedete l’epifania erano le uniche giornate durante le quali potevano ottenere nuovi balocchi. C’era molta emozione durante l’attesa, non solo per acquistare un giocattolo (non tutti potevano farlo) ma anche per contemplarli esposti nelle bancarelle dei venditori ambulanti provenienti da altri paesi. Spesso è capitato di ascoltare nonni che raccontavano che forse ci si accontentava di più di andare a vedere che a comperare. Il forte desiderio di averne uno, li spingeva anche a rubare restando nascosti sotto le bancarelle aiutati dalla complicità dei loro compagni.
Per alcune famiglie acquistare un giocattolo per i propri figli in questi giorni significava esibire le proprie possibilità economiche!C’erano mamme e nonne che mettevano da parte piccoli risparmi aspettando questi momenti, il paese era attento e critico il più delle volte… Cosi durante queste giornate festive oltre alle bancarelle che esponevano prevalentemente oggetti di uso e consumo quotidiano, utensili per la casa e la cucina, alimenti, arnesi e animali domestici c’erano quelle che vendevano “balocchi”: fischietti di terracotta, cavallucci di legno, girandole, bambole di pezza o di foglie di pannocchia, palle di stoffa ripiene di segatura, trottole, flauti di canna, tamburi con pelle animale… Erano questi alcuni dei giocattoli nati dalle mani di esperti artigiani i così detti “venditori di trastulli”, venivano chiamati così tutti coloro che costruivano giocattoli da vendere; il più delle volte erano persone anziane con esperienze maturate in altri mestieri come i falegnami, artigiani di varia natura. Alcuni erano stati per tutta la vita contadini, altri pastori o provenienti da i più svariati settori. A questa categoria di persone vanno incluse anche le donne le quali si dedicavano in particolar modo alla costruzione dei giocattoli femminili. Certamente, erano queste, persone ricche di fantasia, dotate di una particolare manualità, creatività ed elaborazione intellettiva. Era questa un’antica professione, quella del “mastro giocattolaio” appartenente ad un mondo ormai scomparso che ci porta nostalgicamente indietro nel tempo.
Ma chi erano questi creatori di giocattoli? Cosa li distingueva dall’operato comune?
Si possono distinguere tutto sommato, tre tipi di creatori: effettivi, potenziali e il Signor o la Signora tutti quanti. Il creatore geniale si distingueva per una doppia caratteristica: un talento geniale ed uno scenario storico e personale che gli “intimava” di creare; costui era generalmente una personalità dai tratti contraddittori con numerose ambivalenze che spesso lo lasciavano in un equilibrio precario invaso di indubbia soddisfazione. Altra tipologia era il creatore banale, la creazione era il suo mestiere, sia che egli sia stato artista, ricercatore di laboratorio o responsabile dell’innovazione. Il suo talento era ragionevolmente medio ma ha imparato a servirsene infatti se dovesse smettere di creare si sentirebbe infelice; conoscendo le loro risorse, utilizzeranno tanto più volentieri strumenti e tecniche per ottimizzare i loro risultati. Ed ecco il Signor o la Signora tutti quanti o meglio coloro che hanno talento ma non lo sanno ; non conoscendo affatto la propria capacità creativa non riescono a servirsene intenzionalmente. Oppure lo fanno male, sporadicamente, in fretta e furia o di nascosto. Ma come si crea un bel gioco?
E’ chiaro che è molto difficile insegnare di sana pianta un bel gioco, ma risulta semplice e piacevole adattare giochi già esistenti attraverso accorgimenti mirati ad eliminare quei limiti che le esigenze commerciali di mercato impongono. Altresì è possibile rivitalizzare antichi giochi mediante una restaurazione di essi mirata a rinnovarne l’appetibilità ludica. Spesso una rigidità tradizionalista non ammette che i vecchi giochi vengano modificati, la sperimentazione sul campo è un fattore essenziale per riuscire a capire se funziona. Un bel gioco è definito proprio dalla sua “appetibilità” ludica dal coinvolgimento emozionale, dall’allegria che innesca; i più grandi inventori di giochi sono i bambini stessi purchè venga data loro la possibilità di esprimersi e che noi siamo nella condizione di osservare come fanno certi giochi gli stessi questi che per un adulto sono nati con certi schemi e che loro usano in maniera diversa.
Molte volte un bel gioco è rovinato dalle piccole dimensioni. Da meccanismi inefficaci, da regole difficili o poco chiare, dall’aspetto trasandato, dall’assenza di un equilibrio ludico attitudinale o infine d un male inteso iper protettivismo dei genitori che chiude tutti gli spazi per il gioco di azione.
A questo punto necessita fare alcune considerazioni sul perché alcuni giochi divertono e altri annoiano e quali sono i principi e parametri affinché un gioco possieda una certa “appetibilità” ludica e sia quindi di qualità.
In prima istanza un bel gioco deve “dare una certa gratificazione” e questa può derivare:
- dal superamento di certe prove attitudinali;
- da un certo confronto competitivo con gli altri;
- da piacevoli dinamiche collettive;
- da un certo rilassamento e compiacimento psico-fisico.
Per ottenere questi risultati un bel gioco deve avere un “equilibrio” in senso lato, riferito alla durata, alla difficoltà ed al grado di competizione: un gioco è rifiutato se troppo difficile o troppo facile, è negativo socialmente se è troppo competitivo, è a rischio noia se è troppo lungo, è insignificante se troppo corto, è fazioso se troppo strutturato e pilotato.